#THREAD APERTO
L’articolo è in corso di lavorazione. I refusi e gli errori sono conseguenziali.
Beirut, 1975
Beirut è la capitale dello stato del Libano, un territorio in gran parte cristiano principalmente maronita con alcune enclavi greco-ortodosse e aree popolate da musulmani e drusi .
Da millenni il Libano fu la congiunzione tra il mondo islamico e quello cristiano.
Alla caduta dell’Impero Romano, il Libano passò all’Impero Bizantino d’Oriente con l’imposizione, contro il favore della popolazione, del cristianesimo ortodosso come religione di stato.
L’Impero ottomano dominò il Libano per quattro secoli, dal 1516, quando fu conquistato dal sultano Selim I
Da questo momento in poi è un susseguirsi di domini musulmani e ottomani, fino al XX secolo, quando il Libano passò sotto il governo francese a seguito alla vittoria degli Alleati del 1918.
Nel 1920 la Francia istituì l’indipendente Stato del Grande Libano, che nel 1926 venne trasformato il Repubblica Libanese, separata dalla Siria. Durante la Seconda Guerra Mondiale, e precisamente nel 1943, il Libano divenne totalmente indipendente, ma le truppe francesi abbandonarono il territorio solo a guerra conclusa.
Le cariche politiche furono divise tra i principali gruppi religiosi, ma la legge elettorale mantenne il rapporto di 6/5 fra cristiani e musulmani. La convivenza tra i cristiani al potere, i musulmani che si sentivano esclusi dal governo e i profughi palestinesi portò il paese alla guerra civile del 1975.
Uno dei primi fronti della guerra iniziata nell’aprile 1975 fu combattuta per il possesso di un piccolo complesso alberghiero, il St. Charles City Centre, adiacente alla zona del lungomare Corniche dorato sul Mediterraneo , nell’ angolo nord-occidentale del quartiere centrale di Beirut , e si è rapidamente diffuso in altre zone del centro di Beirut.
La battaglia degli hotel
Il miglior punto di osservazione , per dominare il campo di battaglia, erano a Beirut gli edifici residenziali più alti di Beirut insieme agli hotel vicini, da qui si dominavano i quartieri residenziali nelle aree adiacenti, sia cristiane che musulmane .
Pertanto l’hotel ha avuto l’importante funzione strategica di fornire visibilità su una vasta area.
I primi round furono scambiati il 23 ottobre 1975, durante la fase finale della Battaglia per il Distretto Kantari , quando un distaccamento di combattenti – soprannominato “Falchi di az-Zeidaniyya” ( arabo : صور الزيدانية | Suqūr az-Zaydānīya ) – da Al-Mourabitoun , la milizia del Movimento Nasserita Indipendente (INM) guidato da Ibrahim Kulaylat occupò la Torre Murr vuota dopo essere riusciti a sloggiare i suoi difensori delle Forze Regolatorie Cristiane Phalange Kataeb (KRF), e iniziò a sparare razzi e mortai dai piani superiori ai quartieri di sotto di cristiani.
Durante la battaglia, secondo quanto riferito, l’Al-Mourabitoun impegnò circa 200-300 combattenti, anche se altre fonti citano un numero maggiore di 500.
La maggior parte degli edifici era solitamente difesa da un numero ancora minore di combattenti, con non più di 60 miliziani partecipanti in un dato giorno.
Il 26 ottobre, i combattimenti da Kantari tra il movimento nazionale libanese di sinistra musulmana (LNM) e le milizie del Fronte libanese di destra cristiano si sono estesi nel quartiere degli hotel.
Il primo hotel ad essere bruciato è stato l’austriaco Myrtom House , situato accanto al Collegio Haigaziano in Rue du Mexique .
I clienti, tra cui tre diplomatici stranieri, e il personale sono stati temporaneamente tenuti in ostaggio e poi rilasciati, sebbene due dipendenti siano ancora nell’elenco dei dispersi.
Come contromossa, i combattenti cristiani della milizia Phalange KRF guidata da William Hawi e Bashir Gemayel iniziarono a prendere posizione tra e intorno agli hotel principali, ma si trovarono rapidamente in svantaggio poiché erano sotto costante osservazione e il fuoco di mitragliatrici pesanti da la Torre Murr.
I falangisti tentarono – con scarso successo – di mettere a tacere e ridurre la Torre Murr dirigendola contro il fuoco di armi leggere dalla Torre Rizk e Achrafieh .
Il 27 ottobre, sostenuti da un piccolo squadrone composto da cinque auto blindate improvvisate, i falangisti si trasferirono poi all’Holiday Inn e alla Fenicia, mentre miliziani della La Milizia delle Tigri della PNL guidata da Dany Chamoun si trasferì al St Georges Hotel.
Ne è seguito un feroce scontro a fuoco di cinque giorni tra INM, Phalange e NLP Tigers, in cui le milizie cristiane tentano anche di riprendere la Torre Murr dai suoi difensori musulmani a Kantari senza successo.
Ma ben presto infuso la battaglia di molteplici significati: come un attacco da parte dei poveri a un’enclave di lusso e come una vittoria del panarabismo sul particolarismo libanese.
Holiday Inn diventò il luogo-simbolo da conquistare principale.
Era la sua condizione di architettura, era l’edificio più alto della città.
La milizia di sinistra e prevalentemente musulmana Murabitun conquistò l’Holiday Inn di Beirut dalle forze libanesi di destra nel marzo 1976.
Qui i palestinesi si precipitano sul tetto e lanciano centinaia di miliziani cristiane arresi dalla cima.
Dal 1975 fino al 1990 Beirut è stata divisa in due lungo la “linee di confronto” , khutut at-tamass, una linea simbolica, oltre che fisica,una linea tradizionalmente separano le diverse enclave confessionali della città.
Tuttavia, il peso della guerra civile continua a influenzare fortemente lo sviluppo della città e il suo assetto urbanistico rimane ancora in buona parte impostato sulla segregazione tra gruppi su base religiosa.
Il principale ostacolo a una rivisitazione di Beirut in chiave contemporanea è dato dal perdurare della divisione della città in due metà: la parte est e quella ovest: associate a una Beirut “musulmana” nella parte occidentale ed una “cristiana” in quella orientale. I movimenti tra i due lati sono ancora ridotti, come se la segregazione permanesse soprattutto nella memoria e nelle abitudini quotidiane e mentali delle persone, al di là dei limiti e delle barriere fisiche presenti nello spazio. A sua volta, ogni metà della città contiene altre sottodivisioni, che rendono lo spazio poco uniforme e intellegibile ad un visitatore esterno: divisioni che corrono lungo linee confessionali e non geografiche, che a loro volta si sommano a differenze socio-economiche. Ad esempio, la parte occidentale è prevalentemente abitata da sunniti, ma al suo interno il quartiere di Hamra presenta una mescolanza di sunniti e drusi di classe altoborghese; nella periferia meridionale, invece, si concentra la maggioranza degli sciiti di classe umile e a sud-est dei drusi. Quasi a significare che oltre le linee confessionali così presenti nel dibattito politico, altre divisioni sotterranee, altrettanto significative, concorrono nel creare la profonda stratificazione sociale che contraddistingue la città.
4 Un diffusa convinzione
Secondo una definizione diffusa, la geopolitica è la disciplina che studia i rapporti tra le popolazioni, quindi anche tra le nazioni e gli Stati, e “le rivalità di diversi tipi di potere su dei territori” (Yves Lacoste) e perciò non avrebbe perciò nulla a che fare con la città e i suoi problemi tradizionalmente intesi, in linea teorica fino agli anni ’60.
Ma la guerra libanese fatto saltare la scala della geopolitica, da scala nazionale a scala urbana, o meglio architettonica, ogni edificio, ogni architettura era un territorio.
Drammaticamente il significante di territorio si è declinato in una planimetria da conquistare a scala 1. 200.
5 La lezione libanese
6 La sovranità ibrida
La conflittualità avviene nel caso di una mancanza di una sovranità, o insiste sul territorio una “sovranità ibrida” .
La sovranità dello stato libanese non c’era e un giorno scomparve, ma rimase “ibrida” per tutta la guerra, mentre le milizie si lanciavano in una complessa danza con uno stato scheletrico.
7. Mancanza dello spazio vitale
(Lebensraum). Spazio geografico indispensabile a un popolo per potersi sviluppare pienamente secondo la dottrina “geopolitica” tedesca dell’Ottocento.
Il concetto fu fatto proprio da Hitler che lo impiegò per legittimare la politica espansionistica e bellicista, tuttavia esula dal nostro discorso.
Tuttavia è innegabile, che gli scontri avvengono, per la disposizione dello spazio e per valenze simboliche.
8. L’Urbicidio
I geografi urbani prestano da tempo attenzione all ‘”urbicidio”, quando i combattenti prendono di mira “edifici, reti logistiche e infrastrutture di comunicazione” per dividere le comunità e distruggere i valori civili che incarnano l’esperienza urbana.
L’istanza di urbicida non è stata attuata solo su un ambiente passivo, ma attraverso di essa. Il passaggio spaziale tra gli angoli delle strade di Beirut e la geopolitica dell’identità nazionalista araba è stato quasi istantaneo. Le infrastrutture urbane e l’ambiente costruito divennero “macchine geopolitiche”
9.La tesi di Atta
All’Università di Tecnologia di Amburgo, Atta ha studiato sotto la guida del presidente del dipartimento, un certo Dittmar Machule, specializzato in Medio Oriente. Atta era contrario allo sviluppo moderno. Ciò includeva la costruzione di grattacieli al Cairo e in altre antiche città della regione. Credeva che gli squallidi e impersonali condomini , costruiti negli anni ’60 e ’70, rovinassero la bellezza dei vecchi quartieri e derubassero la loro gente di privacy e dignità.
La famiglia di Atta si è trasferita in uno di questi pugno nell’occhio nel 1990; per lui era solo “un misero simbolo dei tentativi casuali di modernizzazione dell’Egitto e del suo spudorato abbraccio all’Occidente”.
Per la sua tesi Atta si è concentrato sull’antica città siriana di Aleppo. Ha studiato la storia del paesaggio urbano in relazione al tema generale del conflitto tra civiltà araba e moderna. Ha criticato il modo in cui i nuovi grattacieli e altri progetti di modernizzazione stavano sconvolgendo il tessuto delle comunità bloccando le strade comuni e alterando lo skyline .
Il professore di Atta, Dittmar Machule, lo portò con sé in una spedizione archeologica ad Aleppo nel 1994. [25] L’invito era stato per una visita di tre giorni, ma Atta finì per rimanere diverse settimane in agosto, solo per visitare ancora una volta Aleppo in dicembre. . [26] Mentre era in Siria, incontrò Amal, una giovane palestinesedonna che ha lavorato per un ufficio di pianificazione in città. Volker Hauth, che viaggiava con Atta, ha descritto Amal come “attraente e sicura di sé. Ha osservato le usanze musulmane, prendendo i taxi da e per l’ufficio per non entrare in stretto contatto fisico con gli uomini sugli autobus. Ma è stata anche detta di essere ’emancipato’ e ‘sfidante’.
Atta e Amal sembravano attratti l’uno dall’altra, ma Atta decide presto che “aveva un orientamento completamente diverso e che l’emancipazione della giovane donna non si adattava”. La sua nascente infatuazione per lei, malvolentieri si rese conto, era la cosa più vicina che Atta conosceva al romanticismo. A metà del 1995, è rimasto per tre mesi al Cairo, su una borsa di studio della Carl Duisberg Society, insieme ai compagni di studio Volker Hauth e Ralph Bodenstein.
Il team accademico ha indagato sugli effetti della riqualificazione nel Cairo islamico , il vecchio quartiere, che il governo si è impegnato a ristrutturare per il turismo. Atta rimase un po ‘al Cairo con la sua famiglia dopo che Hauth e Bodenstein tornarono in Germania.
Quindi il grattacielo per atta era diventato il simbolo
10. La storia di Marwa
Ciao. Il mio nome è Marwa e sono un architetto. Sono nato e cresciuto a Homs, una città nella parte centro-occidentale della Siria, e ho sempre vissuto qui. Dopo sei anni di guerra, Homs è ora una città semidistrutta. Io e la mia famiglia siamo stati fortunati; il nostro posto è ancora in piedi. Anche se per due anni siamo stati come prigionieri a casa. Fuori c’erano manifestazioni, battaglie, bombardamenti e cecchini. Mio marito ed io gestivamo uno studio di architettura nella piazza principale della città vecchia. È sparito, come la maggior parte della città vecchia stessa. La metà degli altri quartieri della città sono ora in macerie. Dal cessate il fuoco alla fine del 2015, gran parte di Homs è stata più o meno tranquilla. L’economia è completamente distrutta e le persone stanno ancora combattendo. I mercanti che avevano bancarelle nel mercato della città vecchia ora commerciano nei capannoni per le strade. Sotto il nostro appartamento ci sono un falegname, dolciumi, un macellaio, una tipografia, laboratori e molti altri. Ho iniziato a insegnare part-time e con mio marito, che si destreggia tra diversi lavori, abbiamo aperto una piccola libreria. Altre persone fanno tutti i tipi di lavoro per tirare avanti.
1:18
Quando guardo la mia città distrutta, ovviamente, mi chiedo: cosa ha portato a questa guerra insensata? La Siria era in gran parte un luogo di tolleranza, storicamente abituato alla varietà, che accoglieva una vasta gamma di credenze, origini, costumi, merci, cibo. In che modo il mio paese – un paese con comunità che convivono armoniosamente insieme e si sentono a proprio agio nel discutere le loro differenze – come è degenerato in guerra civile, violenza, sfollamento e odio settario senza precedenti? C’erano molte ragioni che avevano portato alla guerra: sociali, politiche ed economiche. Tutti hanno svolto il loro ruolo. Ma credo che ci sia una ragione fondamentale che è stata trascurata e che è importante analizzare, perché da esso dipenderà in gran parte se possiamo assicurarci che ciò non accada di nuovo. E quella ragione è l’architettura.
2:09
L’architettura nel mio paese ha svolto un ruolo importante nel creare, dirigere e amplificare i conflitti tra fazioni in guerra, e questo è probabilmente vero anche per altri paesi. C’è una certa corrispondenza tra l’architettura di un luogo e il carattere della comunità che vi si è insediata. L’architettura gioca un ruolo chiave nel determinare se una comunità si sgretola o si riunisce. La società siriana ha vissuto a lungo la coesistenza di tradizioni e background diversi. I siriani hanno sperimentato la prosperità del commercio aperto e delle comunità sostenibili. Hanno apprezzato il vero significato di appartenere a un luogo, e questo si rifletteva nel loro ambiente costruito, nelle moschee e nelle chiese costruite una dietro l’altra , negli intrecci di souk e luoghi pubblici, e le proporzioni e le dimensioni basate su principi di umanità e armonia.
2:56
Questa architettura di mescolanza può ancora essere letta nei resti. La vecchia città islamica in Siria è stata costruita su un passato multistrato, integrandosi con esso e abbracciandone lo spirito. Così hanno fatto le sue comunità. Le persone vivevano e lavoravano insieme in un luogo che dava loro un senso di appartenenza e le faceva sentire a casa. Condividevano un’esistenza straordinariamente unificata.
3:17
Ma nel secolo scorso, questo delicato equilibrio di questi luoghi è stato gradualmente interferito; in primo luogo, dagli urbanisti del periodo coloniale, quando i francesi se ne andarono con entusiasmo, trasformando quelle che vedevano come le non moderne città siriane. Hanno fatto saltare in aria le strade della città e spostato i monumenti. Li chiamavano miglioramenti e furono l’inizio di un lungo e lento disfacimento. L’urbanistica e l’architettura tradizionali delle nostre città garantivano identità e appartenenza non per separazione, ma per intreccio. Ma col tempo, l’antico è diventato inutile e il nuovo, ambito. L’armonia dell’ambiente costruito e dell’ambiente sociale è stato calpestato da elementi di modernità: blocchi di cemento brutali e incompiuti, abbandono, devastazione estetica, urbanistica divisiva che suddivideva le comunità in base alla classe, al credo o al benessere.
4:09
E lo stesso stava accadendo alla comunità. Man mano che la forma dell’ambiente costruito cambiava, anche lo stile di vita e il senso di appartenenza delle comunità iniziarono a cambiare. Da un registro di solidarietà, di appartenenza, l’ architettura è diventata una via di differenziazione e le comunità hanno iniziato ad allontanarsi dal tessuto stesso che le univa e dall’anima del luogo che rappresentava la loro comune esistenza.
0 4:35
Sebbene molte ragioni abbiano portato alla guerra siriana, non dovremmo sottovalutare il modo in cui, contribuendo alla perdita dell’identità e del rispetto di sé, la suddivisione in zone urbane e l’architettura disumana e fuorviata hanno nutrito divisioni settarie e odio. Nel corso del tempo, la città unita si è trasformata in un centro cittadino con ghetti lungo la sua circonferenza. E a loro volta, le comunità coerenti divennero gruppi sociali distinti, alienati l’uno dall’altro e alienati dal luogo. Dal mio punto di vista, perdere il senso di appartenenza a un luogo e il senso di condividerlo con qualcun altro ha reso molto più facile distruggerlo.
0 5:13
Il chiaro esempio può essere visto nel sistema abitativo informale, che prima della guerra ospitava oltre il 40 per cento della popolazione. Sì, prima della guerra, quasi la metà della popolazione siriana viveva in bassifondi, aree periferiche prive di infrastrutture adeguate, fatte di file infinite di scatole spoglie contenenti persone, persone che per lo più appartenevano allo stesso gruppo, sia esso basato su religione, classe, origine o tutte le precedenti.
5:41
Questo urbanismo ghettizzato si è rivelato un precursore tangibile della guerra. Il conflitto è molto più facile tra le aree pre-categorizzate – dove vivono gli “altri”. I legami che un tempo univano la città – sia che fossero sociali, attraverso la costruzione coerente, o economici, attraverso il commercio nel souk, o religiosi, attraverso la presenza coesistente – sono stati tutti persi nella modernizzazione fuorviante e senza visione del costruito ambiente.
6:07
Permettimi una parte. Quando leggo di urbanistica eterogenea in altre parti del mondo, che coinvolge quartieri etnici nelle città britanniche o intorno a Parigi o Bruxelles, riconosco l’inizio del tipo di instabilità a cui abbiamo assistito in modo così disastroso qui in Siria.
6:26
Abbiamo gravemente distrutto città, come Homs, Aleppo, Daraa e molte altre, e quasi la metà della popolazione del paese è ora sfollata.
6:35
Si spera che la guerra finisca e la domanda che, come architetto, devo chiedermi è: come ricostruiamo? Quali sono i principi che dovremmo adottare per evitare di ripetere gli stessi errori? Dal mio punto di vista, l’obiettivo principale dovrebbe essere la creazione di luoghi che facciano sentire le persone di appartenere. L’architettura e la pianificazione hanno bisogno di riconquistare alcuni dei valori tradizionali che hanno fatto proprio questo, creando le condizioni per la convivenza e la pace, valori di bellezza che non esibiscono ostentazione, ma piuttosto accessibilità e facilità, valori morali che promuovono generosità e accettazione, architettura che è per tutti, non solo per l’elite, proprio come nei vicoli ombreggiati della vecchia città islamica, disegni misti che incoraggiano il senso di comunità.
0 7:24
C’è un quartiere qui a Homs che si chiama Baba Amr che è stato completamente distrutto. Quasi due anni fa, ho introdotto questo progetto in un concorso UN-Habitat per ricostruirlo. L’idea era quella di creare un tessuto urbano ispirato a un albero, in grado di crescere e diffondersi organicamente, riecheggiando il tradizionale ponte sospeso sui vecchi vicoli, e incorporando appartamenti, cortili privati, negozi, laboratori, parcheggi e giochi e tempo libero, alberi e zone d’ombra. È tutt’altro che perfetto, ovviamente. L’ho disegnato durante le poche ore di elettricità che riceviamo. E ci sono molti modi possibili per esprimere appartenenza e comunità attraverso l’architettura. Ma confrontalo con i blocchi indipendenti e scollegati proposti dal progetto ufficiale per la ricostruzione di Baba Amr.
8:12
L’architettura non è l’asse attorno al quale ruota tutta la vita umana, ma ha il potere di suggerire e persino di dirigere l’attività umana. In questo senso, l’insediamento, l’identità e l’integrazione sociale sono tutti produttori e prodotti di un’urbanistica efficace. L’urbanistica coerente della vecchia città islamica e di molte vecchie città europee, ad esempio, promuove l’integrazione, mentre file di case o palazzi senz’anima, anche quando sono lussuosi, tendono a promuovere l’isolamento e “l’alterità”. Anche cose semplici come i luoghi ombreggiati o le piante da frutto o l’acqua potabile all’interno della città possono fare la differenza nel modo in cui le persone si sentono nei confronti del luogo, e se lo considerano un luogo generoso che dà, un posto che vale la pena conservare, a cui contribuire o se lo vedono come un luogo alienante, pieno di semi di rabbia. Affinché un luogo possa dare, anche la sua architettura dovrebbe dare.
0 9:10
Il nostro ambiente costruito è importante. Il tessuto delle nostre città si riflette nel tessuto delle nostre anime. E che si tratti di baraccopoli informali di cemento o di alloggi sociali rotti o di vecchie città calpestate o di foreste di grattacieli, gli archetipi urbani contemporanei che sono emersi in tutto il Medio Oriente sono stati una delle cause dell’alienazione e della frammentazione delle nostre comunità.
9:34
Possiamo imparare da questo. Possiamo imparare a ricostruire in un altro modo, a creare un’architettura che non contribuisca solo agli aspetti pratici ed economici della vita delle persone, ma anche ai loro bisogni sociali, spirituali e psicologici. Quei bisogni erano completamente trascurati nelle città siriane prima della guerra. Dobbiamo ricreare città che siano condivise dalle comunità che le abitano. Se lo facciamo, le persone non sentiranno il bisogno di cercare identità opposte alle altre identità tutt’intorno, perché si sentiranno tutte a casa.
10:10
Grazie per l’attenzione.
11. Da Città multietnica a Citta polis-etnica
Il problema dell’urbanistica moderna, è la dismissione di alcune lenti di letture per compiacere un idea progressista di città.
Un’idea su cui si sono rifugiati tutti i paradigmi della città moderna, come il trasporto, l’energia, i metodi di produzione, o la partecipazione civica.
Un’ idea che preferisce rifugiarsi tra la sua verticalità, tra i boschi verticali, e in basso verifica la sua capacità di risposta, resiliente o meno, talmente spaventata che si proietta verso l’orizzonte infinito della città, indagando se è intelligente o meno, ma non vede che la città è sprofondata verso il basso.
Sembrano i presupposti di profetiche intuizioni.
Élite che costruiscono i loro ambienti “sani” posizionati in alto, tra i giardini pensili.
La città indagata attraverso la lente del multiculturalismo benpensante, riflette un immaginaria utopica città che vedono solo gli urbanisti.
Se indaghi la città multiculturale o attraverso le sue geografica ma attraverso la geopolitica, la città si rivela come della città.
12. Cos’è la “geopolitica urbana”?
Il concetto di “geopolitica urbana” è piuttosto recente. A prima vista, mettere insieme “urbano” e “geopolitica” può sembrare contraddittorio. Consentitemi quindi di iniziare definendo che cosa è la “geopolitica urbana” (o, meglio, che cosa intendo con ciò) e perché offre una prospettiva privilegiata per comprendere la congiuntura contemporanea.
“Urban” riguarda ovviamente la “città” o, più precisamente, gli spazi trasformati dall’umanità per il proprio vivere (“urbanizzazione”).
La “geopolitica” è “un metodo di studio della politica estera per comprendere, spiegare e prevedere il comportamento politico internazionale attraverso variabili geografiche. Questi includono studi di area, clima, topografia, demografia, risorse naturali e scienza applicata della regione oggetto di valutazione . In questa definizione non c’è spazio per la scala urbana o locale normalmente associata alla città.
L’idea alla base dell’uso della “geopolitica urbana” è esattamente che, nel mondo globalizzato contemporaneo, il locale e il globale sono sempre più interconnessi; e che molti fenomeni vissuti su scala urbana fanno effettivamente parte di tendenze globali più ampie.
Non è un caso che la violenza terroristica, almeno nei paesi occidentali, sia principalmente un fenomeno urbano – i suoi obiettivi sono sistematicamente luoghi nodali urbani di lavoro ed economia (ad es. Il World Trade Center di New York), mobilità (ad es. La stazione di Atocha a Madrid) o per il tempo libero (ad esempio il Bataclan a Parigi).
Allo stesso tempo, la risposta di sicurezza al rischio terroristico è prevalentemente urbana: si pensi all’uso della videosorveglianza sullo spazio urbano, alla militarizzazione di potenziali aree “target” come quelle che circondano il nuovo World Trade Center di New York.
13. Cosa succede in Città
Nei primi mesi del 2020, il Presidente della Repubblica Francese Macron dichiara Guerra al comunitarismo e separatismo islamico in Francia.
La levata di scudi tra la stampa progressista anglosassone è unanime.
Ma come?
Comunitarismo e addirittura separatismo? In Francia.
https://www.ft.com/content/88c1e898-5269-11ea-90ad-25e377c0ee1f
14. Il nomadismo post-coloniale
Il tempo colonialista, ha inondato le città del nord Europa masse di popoli che si sono stanziate nelle città in nord Europa, portando non solo la loro lingua , cucina, credenze religiose, ma soprattutto codici societari, per esemplificare il discorso vedi la genesi della “cosa nostra” negli Stati Uniti.
15. Parigi
La prima ondata di migrazioni internazionali a Parigi ebbe inizio già nel 1820 con l’arrivo dei contadini tedeschi in fuga dalla crisi agricola. Diverse ondate di immigrazione si susseguirono costantemente fino a oggi: gli italiani e gli ebrei dell’Europa centrale nel corso del XIX secolo, i russi dopo la rivoluzione del 1917, gli armeni in fuga in seguito al genocidio perpetrato dall’Impero Ottomano,i cittadini coloniali durante la prima guerra mondiale e in seguito, tra le due guerre mondiali, spagnoli, italiani e portoghesi. Tra gli anni ’50 e ’70, arrivarono gli abitanti del Maghreb dopo l’indipendenza di tali paesi.
Si stima che la regione metropolitana di Parigi, o aire urbaine, sia la residenza per circa 1,7 milioni di musulmani, che costituiscono tra il 10% e il 15% della popolazione della zona. Tuttavia, in assenza di dati ufficiali, il margine di errore di queste stime è molto elevato, in quanto si basa sul proprio paese di nascita (chi è nato in un paese musulmano o nato da un genitore proveniente da un paese musulmano è considerato come un “musulmano potenziale”).[Secondo la North American Jewish Data Bank, si stima che 310 000 ebrei vivano a Parigi e dintorni. Parigi è stata storicamente una calamita per gli immigrati, ospitando oggi una delle più grandi concentrazioni di immigrati in Europa
16. Londra
Nel censimento del 2011 il 59,8% dei più di otto milioni di abitanti di Londra era classificato come appartenente al gruppo etnico “bianco”, di cui il 44,9% ai “bianchi britannici”, il 2,2 ai “bianchi irlandesi” e il 12,1% ad “altri bianchi”.
Il 20,9% dei londinesi è invece di origine asiatica, ed è costituito soprattutto da indiani (6,6% della popolazione totale), pakistani (2,7%), bengalesi (2,7%), cinesi (1,5%), arabi (1,3%) e “altri asiatici” (4,9%, provenienti soprattutto da altri paesi dell’Asia meridionale).
Il 15,6% si dichiarava invece appartenente al gruppo etnico dei “neri britannici” di cui circa il 7% è costituito da “neri africani”, il 4,2% da “neri caraibici”, il 2,1% dal gruppo degli “altri neri” e il 2,3% da individui con genitori neri di diverse etnie.
Il 5% risultava di “razza mista”.
Nel gennaio 2005 un’indagine sulle diversità etniche e religiose di Londra riportò una situazione cittadina con più di 300 lingue parlate e più di 50 comunità non indigene con una popolazione di più di 10 000 persone a Londra.[50] I dati dell’Office for National Statistics mostrano che, nel 2006, la popolazione nata all’estero di Londra ammontava a 2 288 000 (31% della popolazione totale) quando nel 1997 lo stesso dato si fermava a 1 630 000.[51] Il censimento del 2011 mostrava come il 36,7% della popolazione della Grande Londra fosse nato al di fuori del Regno Unito.
La tabella sulla destra mostra la nazione di nascita dei residenti di Londra aggiornata al 2001.
Si noti come una parte della popolazione originaria della Germania sia probabilmente figlia dei cittadini britannici che servono le forze armate britanniche di stanza in Germania.[52]
Londra è stata meta di immigrazione per interi secoli, sia per motivi di sicurezza sia per motivi economici. Ugonotti, ebrei dell’Europa orientale e ciprioti sono esempi di migrazioni dovute a problemi di sicurezza, invece irlandesi, bengalesi e indiani possono essere riportati come esempi di migrazione dovuta a migliori aspettative economiche. Il quartiere di East End, nei dintorni di Spitalfields, è stato il quartiere di “approdo” di differenti gruppi etnici, che da questo distretto si sono poi mossi altrove all’interno della città in cerca di prosperità.
17. Bruxeles
Iniziamo col ricordare che all’inizio del 2012, in Belgio i residenti con almeno un antenato straniero erano il 25% della popolazione.
1.200.000 circa tra loro erano di origini “Occidentali”: attorno al 49% di questo 24%. 1.350.000 erano invece di origini non Occidentali: l’altro 51%, che più o meno è tra il 12,5 e il 13% della popolazione complessiva.
Prima molto difficile, l’ottenimento della cittadinanza belga è diventato più semplice con il nuovo Codice della Nazionalità del 1985, e soprattutto dopo l’ulteriore riforma del 2000.
Del tema si è occupato in particolare Alain Destexhe: un ex-segretario di Medici senza Frontiere, poi autore del libro Immigration et intégration: avant qu’il ne soit trop tard…. Secondo lui, “rispetto alla sua popolazione, il Belgio ha sperimentato uno choc migratorio più importante di Francia, Germania o Paesi Bassi”.
In base ai sui calcoli, “in vent’anni, il Belgio ha naturalizzato da 600 a 700.000 persone, il 5-6% della popolazione, per non parlare di clandestini e richiedenti asilo”.
Nella sua analisi, la scelta del 2000 di rendere estremamente facile il ricongiungimento familiare, di regolarizzare in massa i clandestini già presenti e di semplificare anche la naturalizzazione avrebbe “creato un afflusso di un milione di persone in dieci anni in un paese di dieci milioni!
Uno choc che ha portato a un cambiamento nella composizione del paese, specialmente a Bruxelles, aggravando i problemi del comunitarismo, del salafismo e del separatismo culturale”.
Poiché il libro è del dicembre 2018, la cifra del milione di nuovi afflussi si riferirebbe al 2008-18; la cifra delle 600-700.000 naturalizzazioni al 1998-2018.
Cifre ufficiali stimavano invece il numero degli stranieri divenuti cittadini tra 2000 e 2012 in 1,3 milioni: l’89,2% degli immigrati turchi, l’88,4% dei marocchini, il 75,4% degli italiani, il 56,2% dei francesi, il 47,8% degli olandesi. Nel 2007 c’erano inoltre 1,38 milioni di residenti stranieri, corrispondenti al 12,9% della popolazioni. Di essi, 685.000 erano nati fuori dall’Ue: il 6,4%. 695.000 nell’Ue: il 6,5%. Nel 2017 gli oriundi marocchini rappresentavano il 2,8% della popolazione belga: gli italiani il 2,4; i francesi l’1,9; gli olandesi l’1,6; i turchi l’1,4; polacchi e romeni lo 0,8% a testa; gli spagnoli lo 0,7%, e lo 0,5% a testa i tedeschi e gli oriundi della Repubblica Democratica del Congo, il Congo ex-belga. Insomma, l’immigrazione in Belgio deriva molto poco dal lascito del colonialismo.
Dunque, il Belgio è riuscito anche a integrare ai massimi livelli. E marocchini e turchi sono due minoranze islamiche certo consistenti, ma nel complesso minoranza rispetto al complesso della popolazione allogena. Però gli islamici sono quelli che sono cresciuti in modo più appariscente negli, ultimi anni. A Anversa, capitale delle Fiandre, la popolazione di origine immigrata era tra il 36 e il 39% nel 2010, con una previsione del 55% entro il 2020. A Malines, un quarto della popolazione è oggi musulmana.
18. Il mercato di Mollenbeek
Mollenbeek St. Jean, distretto di Bruxelles anche chiamato Little Morocco o dai suo abitanti islamici Molem, è venuto alla ribalta mondiale dopo gli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015: organizzati e eseguiti appunto da una cellula di jihadisti che lì aveva la sua base. Lì il 57% del residenti vive sotto la soglia di povertà.
E già nel 2005 un allarme su Molenbeek era stato lanciato da Hind Fraihi: un giornalista investigativo belga di origine marocchina esperto in mondo arabo, che vi si era infiltrato per due mesi travestito da studente di sociologia.
Pubblicato sul giornale fiammingo Het Nieuwsblad, il suo reportage riferiva di moschee dove si vendevano sotto banco libri pro-jihad stampati in Olanda ma scritti in Arabia Saudita. Di imposizione massiccia del burqa.
Dei soldi buttati in campo in quantità dai sauditi per manipolare le coscienze.
Di giovani presi in mezzo tra la disoccupazione, la strada e le predicazioni più infiammate. “Questi giovani non hanno un lavoro né un futuro, quindi è molto facile indottrinarli se gli dai una grande storia”, scrisse.
Va ricordato che anche il Belgio come i vicini Paesi Bassi ha una tradizione di democrazia consociativa. Non vi è in effetti una “pilastrizzazione” olandese di tipo religioso tra calvinisti, cattolici e laici: questi ultimi a loro volta divisi tra liberali e socialisti.
C’è però una “pilastrizzazione” linguistica tra fiamminghi e valloni, con in più una piccola minoranza tedesca che comunque anch’essa è stata riconosciuta come comunità culturale autonoma e ne ha ottenuto i relativi privilegi.
Una conseguenza di questa situazione è un peculiare sistema federale a doppio livello: tra le tre entità territoriali Fiandre-Vallonia-Bruxelles; tra le tre entità linguistiche Fiamminga-Francese-Tedesca. Alcune competenze vanno al potere centrale; altre alle regioni; altre alle comunità. Da notare che non c’è coincidenza tra i due livelli di decentramento, perché a Bruxelles funzionano contemporaneamente la Comunità Fiamminga e quella francese, e in Vallonia quelle francese e tedesca. E si sono nel tempo divisi tra un’altra fiamminga e una vallone sia i tre partiti tradizionali democristiano, liberale e socialista; sia i più recenti verdi.
Come nei Paesi Bassi, anche in Belgio questa cultura dei “pilastri” ha presumibilmente incoraggiato alcune comunità di immigrati a costruirsi spazi di separazione, secondo il modello che veniva dai padroni di casa. In più, in Belgio la doppia lottizzazione partitica e linguistica e l’affastellamento dei poteri decisionali sembra aver favorito un indebolimento dello Stato.
In particolare nel 1996 dopo il caso del serial killer Marc Dutroux ben 350.000 belgi scesero in piazza a manifestare contro una inefficienza della Polizia attribuita appunto a eccesso di lottizzazione. E tra 2010 e 2012 il Belgio ha avuto una crisi di governo che è durata ben 535 giorni, battendo ogni record mondiale in materia.
19.La Grande Moschea di Bruxelles
Anche il jihadismo e l’integralismo se ne sarebbero avvantaggiati, facendo del Belgio un loro hub proprio nel cuore d’Europa.
Secondo vari analisti, un problema ulteriore sarebbe stato creato nel 1969, quando re Baldovino pensò di dare all’Arabia Saudita le chiavi del padiglione orientale al Parco del Cinquantenario di Bruxelles. Lì fu allora installata la sede del Centro Islamico e Culturale del Belgio (Cicb), che con grande investimento di petroldollari divenne il quartier generale europeo della Lega Musulmana Mondiale. Amministrata da un consiglio composto dagli ambasciatori dei Paesi islamici, ma presieduta da quello saudita.
Così il Belgio voleva non solo facilitare un po’ di contratti petroliferi, ma anche sdebitarsi per la generosità mostra da re Feisal con le vittime dell’incendio del grande magazzino À l’Innovation, in cui 22 maggio 1967 a Bruxelles erano morte 251 persone e ne erano rimaste ferite altre 62.
Ma l’istituzione ebbe un ruolo così pesante nel diffondere tra i musulmani belgi l’intollerante interpretazione Salafita che già nel 1990 il governo le ritirò sia lo status di interlocutore ufficiale, sia il compito di formare gli insegnanti di religione islamica. Il danno, però, era già stato fatto, favorendo tra i musulmani belgi l’emergere di una società parallela in cui i Salafiti hanno potuto isolarsi sempre di più dalla società occidentale e dai suoi valori.
A Bruxelles, esattamente attorno quella stazione Gare du Midi che è il terminal ferroviario dell’Eurostar, c’è un mercato domenicale che è tra i più grandi d’Europa. Tra i suoi vicoli passa però anche quel noto crocevia del mercato di armi in cui andò a rifornirsi Amedy Coulibaly: il terrorista che il 9 gennaio 2015 due giorni dopo la strage fatta dai suoi amici Saïd e Chérif Kouachi alla sede di Charlie Hebdo assaltò un supermercato Kosher.
Ma “Bruxelles prima capitale musulmana d’Europa” aveva già titolato un servizio della tv Usa Fox News nel marzo del 2009, spiegando agli americani che secondo le proiezioni demografiche la città avrebbe avuto una maggioranza di residenti islamica entro una ventina d’anni.
Dire che è Mohamed il nome più diffuso non è particolarmente significativo: lo stesso fenomeno si registra alle anagrafi di Londra, Oslo, Milano e Marsiglia.
Ma a Bruxelles sono islamici ben sette dei primi 10 nomi registrati all’anagrafe. Di fronte alle stime secondo cui i musulmani sarebbero già tra un terzo e i due quinti degli abitanti di Bruxelles, e i due terzi dei giovani sotto i 15 anni, il sociologo Felice Dassetto, docente emerito a Lovanio e pioniere degli studi sulla diffusione dell’Islam in Europa, rispose che erano esagerate. Ma anche la sua valutazione minima attestava comunque un 22%, ed in cui la terza generazione dall’emigrazione tendeva ad essere più religiosamente radicale rispetto alle prime due.
Accanto a Gare du Midi, un’altra area massicciamente islamizzata della Grande Bruxelles è appunto Molenbeek-Saint-Jean, dove si fecero le prime perquisizioni dopo quel blitz di Verviers in cui il 15 gennaio 2015 due jihadisti, tornati appena una settimana prima dalla Siria furono uccisi dalla polizia durante un’operazione anti terrorismo condotta in quella cittadina vicino Liegi. Un terzo fu ferito e arrestato. I tre uomini erano stati monitorati dai servizi segreti belgi che avevano seguito i loro spostamenti e intercettato le loro conversazioni via web.
I tre foreign fighters sarebbero stati responsabili del rifornimento di armi verso le cellule “dormienti” e del reclutamento di giovani da preparare alla Jihad.
Proprio Fox News ne aveva intervistato l’allora borgomastro socialista Philippe Moureaux. “Siate realisti, loro sono là, relativamente numerosi, e sempre più numerosi. Volete che i vostri figli e nipoti vivano una qualche forma di guerra civile?”, era stata la spiegazione della politica per cui aveva via via deciso di creare un consiglio consultivo delle moschee finanziato del comune, dare ai musulmani la maggioranza delle candidature, aprire il mattatoio municipale alla festa del sacrificio. Lui personalmente è restato agnostico, ma l’anno dopo ha preso in seconde nozze come moglie una musulmana.
È vero che dal 2012 era stata eletta come nuovo borgomastro una liberale. Ma dopo esserci andato in incognito il già citato Hing Frahi lo aveva definito come un luogo simbolo tra quelli in cui “non sembra neanche più di essere in Belgio”, così come nel vicino quartiere di Kuregem. Musiche maghrebine, donne velate, negozi dove si parla rigorosamente in arabo, la polizia che ha paura ad entrare.
Fox News aveva allora intervistato un presidente socialista del Parlamento francofono di Bruxelles di nome Mahfoud Romdhani che era a sua volta musulmano. Anche se insisteva che la presunta islamizzazione è destinata a non andare avanti perché come capitale dell’Ue Bruxelles attirerà col tempo sempre più europei, e secondo lui anche gli islamici tendono ormai a laicizzarsi.
Ma vari sociologi obiettano che proprio la radicalizzazione religiosa di almeno il 75% dei giovani musulmani cambia i dati del problema.
E fu La Libre Belgique a svelare i progetti dei governi della Regione di Bruxelles per divenire la capitale europeo della finanza islamica. A attivarsi fu in particolare il ministro regionale dell’Economia Benoît Cerexhe: appartenente a un partito che fino al 2002 si chiamava Social Cristiano e oggi è semplicemente il Centro Democratico Umanista, e indefesso lobbysta presso la Commissione Europea per un adattamento della legislazione bancaria alle regole dell’Islam.
Salvo che la stessa Commissione si è impaurita, e il progetto si è arenato.
In compenso, dal 2013 ha cominciato a essere filmata per le strade una sorta di “polizia religiosa” attiva per sorvegliare il comportamento dei musulmani: simile d’altronde a quella che dal 2003 è attiva nell’altra grande città belga di Anversa.
Dal 2004, però, la municipalità di Maaseik inaugura il veto al velo con una multa di 75 euro all’immigrata marocchina Khadiija El Ouazzani. Il relativo ricorso sarà respinto in tribunale nel 2006.
Secondo il sindaco Jan Creemers, democristiano fiammingo, almeno 5 o 6 donne a Maaseik avevano provocato “sentimenti di insicurezza” col portare un burqa, e lui aveva ricevuto lamentale in proposito. Lui in persona aveva ammonito le donne a togliersi il burqa, facendo poi multare l’unica che si era ostinata. Su richiesta dello stesso Creemers, alla fine del 2004 il ministro dell’Interno del governo regionale fiammingo, il liberale Marino Keulen, emana un divieto standard per il burqa, spedendolo a tutte le 308 municipalità delle Fiandre. La normativa stabilisce che le persone sulla pubblica via o in pubblici edifici devono essere identificabili.
Ovviamente, anche in Belgio la paura dell’immigrazione specie islamica e islamista ha portato come reazione alla crescita di partiti con tinte xenofobe.
Tra 1985 e 2012 in Vallonia è anche esistito un Front National modellato su quello di Le Pen, ma l’agenda anti-stranieri è stata portata avanti soprattutto dai due partiti nazionalisti fiamminghi: il più estremo e un più moderato. Quest’ultimo fino allo scorso dicembre è stato parte della coalizione di governo del primo ministro Charles Michel: assieme ai liberali valloni dello stesso Michel, ai liberali fiamminghi e ai dc fiamminghi. Ma poi se ne è andato sbattendo la porta proprio sul tema dell’immigrazione, non approvando il voto del governo a favore del Global Compact Onu.
Tuttavia anche i partiti tradizionali stanno diventando sensibili a questi temi. Nel settembre del 2018, ad esempio, quattro partiti francofoni hanno chiesto la messa fuori legge di un partito islamista che chiedeva la Sharia a partire dalla separazione di uomini e donne sui mezzi pubblici. Tra di essi sia il Movimento Riformatore dello stesso Michel; sia il Partito Socialista di Di Rupo; sia i democristiani del Centro Democratico Umanista; sia i regionalisti del DéFi. Insomma, tutti tranne i Verdi. A essere preso di mira quel Partito Islam, che fondato nel 2012 era riuscito subito a far eleggere due consiglieri comunali a Bruxelles. Nel maggio del 2014, è vero, quando aveva presentato le sue liste alle elezioni federali e regionali a Bruxelles e Liegi era stato un flop: appena lo 0,2% di voti. Alle municipali dell’ottobre 2018 ottiene l’1,8% a Molenbeek-Saint-Jean e l’1,6 a Bruxelles, ma a Anderlecht non gli viene permesso di ripresentarsi.
Il leader Redouane Ahrouch non può dunque essere rieletto, privando il partito di ogni residua rappresentanza.
Il procedimento è complesso e potrebbe richiedere una modifica della Costituzione.
Il Partito Islam – che sta anche per “Integrità, Solidarietà, Libertà, Autenticità, Moralità!”, è radicato soprattutto nella comunità sciita e ha stretti contatti con l’organizzazione mondiale sciita Ahl ul-Bayt, con base a Teheran.
Ahrouch nell’aprile del 2018 ha proposto la segregazione nei trasporti pubblici sostenendo che “nelle ore di punta, alcune persone, soprattutto di origine straniera, approfittano del fatto che i veicoli siano pieni per appiccicarsi alle donne”. Poi è scoppiata una polemica dopo che uno dei capolista del Partito Islam alle comunali ha minacciato un utente di un social media di “sgozzarlo come un agnello halal” e di “lapidarlo più rapidamente di quanto tu pensi”.
Infine l’aprile scorso Ahrouch è stato condannato a sei mesi di carcere: proprio per discriminazione contro una donna.
Il suo caso dimostra comunque che i finanziamenti iraniani possono essere altrettanto esiziali di quelli sauditi. In effetti, per tornare a governare l’immigrazione Destexhe assieme alla revisione del processo di ricongiungimento familiare ha proposto la fine dei sussidi per le lobby filo-islamiche e dei fondi stranieri alle organizzazioni musulmane.
Maurizio Stefanini
Il Belgio fa i conti con il separatismo degli immigrati e l’integralismo islamico
20. Islam
Anche l’islam è innanzitutto un sistema giuridico, o meglio un ordinamento giuridico, insediandosi ha portato un “sistema” tra le nuove urbanizzazioni.
I problemi con le minoranze e i nuovi arrivati non sono insoliti nei paesi con storie di immigrati. Per decenni, l’integrazione dei nuovi arrivati ha posto molte sfide ai modelli di vita occidentali.
Ogni comunità di immigrati (ad esempio cattolici, irlandesi, ebrei) in Occidente è stata contestata prima di esser
e accettata nella società tradizionale.
Per quanto riguarda i musulmani, molti studiosi ritengono che ciò che vediamo oggi sia solo un passaggio temporaneo alla coesione sociale e anche loro, prima o poi, diventeranno parte del mainstream.
Tuttavia i fatti di Bruxelles dimostrano che le reti e le relazioni sono intergenerazionale.
Poi se esistono altre una strategia di insediamento delle comunità mussulmane in Europa che non hanno nessuna intenzione di integrarsi.
21. Cattolici
In effetti, molte delle paure espresse oggi riguardo all’integrazione dei musulmani in Occidente sono identiche alle paure di un secolo fa sull’integrazione dei cattolici, nei paesi protestanti che erano visti come non democratici e non patriottici a causa del loro percepito rifiuto di integrare la loro fedeltà a il Papa.
Tuttavia perso il potere temporale , il Papa
China Town
A Chinatown è un’enclave etnica di cinesi situata fuori dalla Cina continentale , Hong Kong , Macao o Taiwan , il più delle volte in un contesto urbano. Le aree conosciute come “Chinatown” esistono in tutto il mondo, tra cui Europa , Nord America , Sud America , Asia , Africa, Australasia e Medio Oriente .
Lo sviluppo della maggior parte delle Chinatown è dovuto tipicamente alla migrazione di massa verso un’area senza o con pochissimi residenti cinesi. Binondo a Manila , fondata nel 1594, è riconosciuta come la più antica Chinatown del mondo. Notevoli i primi esempi al di fuori dell’Asia includono la Chinatown di San Francisco negli Stati Uniti e la Chinatown di Melbourne in Australia, che furono fondate a metà del XIX secolo durante la corsa all’oro della California e la corsa all’oro del Victoria , rispettivamente. Un esempio più moderno, a Montville, nel Connecticut , è stato causato dallo spostamento dei lavoratori cinesi nella Chinatown di Manhattanin seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001.
Le religioni Buddhismo, Taoismo,
- Europe Street , una strada in Cina dedicata alla cultura europea
- Jack Manion, la squadra di Chinatown di San Francisco
- Elenco delle città degli Stati Uniti con una significativa popolazione cinese-americana
- Koreatown
- Japantown
- La piccola Saigon
- Little Manila
- Little India
- Elenco delle enclavi etniche nominate nelle città del Nord America
- Chinatown in Asia
- Chinatown in Europa
- Chinatown negli Stati Uniti
Riferimenti
22. Le tesi di Jonathan Rokem
https://www.kent.ac.uk/anthropology-conservation/people/1914/www.kent.ac.uk/anthropology-conservation/people/1914/rock-rokem-jonathan
Nella conferenza “Towards a global urban geopolitics – Bringing geopolitics into the mainstream of comparative urban studies” Verso una geopolitica urbana globale – Portare la geopolitica nella corrente principale degli studi urbani comparati , le città sono centri di cambiamento sociale, spaziale e politico e ha proposto un’agenda di ricerca comparata per inquadrare la contestazione urbana come un processo dinamico.
Nel confrontare diverse città, ha sottolineato l’importanza dell’apprendimento da casi non convenzionali¸ al di là della cosiddetta teoria “globale urbana” basata sui soliti sospetti. Invece, è opportuno confrontare i diversi contesti geopolitici urbani per rivelare la crescente gamma di conflitti, contestazioni e formazioni culturali che stanno plasmando il futuro delle città.
Alcune delle recenti ricerche di Jonathan, supportate dal progetto Marie Curie Contested Urbanism (2015-2017), finanziato dall’UE , hanno riguardato l’analisi spaziale delle infrastrutture di trasporto pubblico a Gerusalemme e Stoccolma, collegata all’analisi statistica della loro composizione geopolitica urbana.
A Gerusalemme, l’accesso al trasporto pubblico è multidimensionale, dando forma a opportunità di mobilità spaziale che possono o superare o rafforzare la violenza etno-nazionale tra gruppi urbani.
A Stoccolma, nonostante la visione politica di lunga data dell’integrazione sociale, vi è una crescente separazione spaziale etnica.
La lezione si è conclusa rivedendo le opportunità di controbilanciare la realtà urbana fratturata in entrambe le città.
Vedere:
- Per ulteriori informazioni sulla serie di seminari su Cities & Society
- Il progetto di ricerca Urbanistica contestata è stato redatto sul sito web dell’UE
- Jonathan Rokem
23. Urbicidio
“Urbicidio” è il termine drammaticamente efficace che coniò un gruppo di architetti jugoslavi all’inizio degli anni Novanta per indicare quello che stava accadendo nel loro paese. Uccidere la città sembra essere lo scopo principale della guerra contemporanea, perché significa non solo eliminare obiettivi militarmente strategici, ma anche e soprattutto colpire irrimediabilmente i valori identitari, sociali, culturali del nemico.
La guerra di MAcron
SOCIETÀ /
Da diversi anni la Francia è il paese più colpito dal terrorismo islamista che imperversa nel Vecchio Continente. A Parigi, ma anche a Nizza, sono stati compiuti fra gli attentati più sanguinosi della storia recente europea, sullo sfondo delle periodiche rivolte urbane nei “quartieri difficili”, nelle banlieu a maggioranza afro-araba, e del vaso di pandora, ormai scoperchiato, della pericolosa infiltrazione jihadista nelle fondamenta della repubblica: forze dell’ordine e forze armate.
Recentemente, il presidente francese Emmanuel Macron, ha parlato della minaccia esistenziale rappresentata dal “separatismo islamista“, che rischierebbe di minare l’unità e l’integrità territoriale della nazione per via della proliferazione di stati paralleli, degli stati all’interno dello stato, zone grigie dove la shari’a ha il sopravvento sulla legge della repubblica.
La realtà delle enclavi etniche, dove segregazione e mancata integrazione facilitano la diffusione di criminalità e radicalizzazione religiosa, è tanto grave da non potere più essere nascosta, tanto che è lo stesso presidente a parlarne in pubblico, rompendo il tabù di toccare un tema che fino ai tempi recenti era stato monopolizzato dal discorso del Rassemblement National (ex Front National). È arrivato, perciò, il momento di fare il punto della situazione.
L’esercito invisibile dei territori perduti
Stando ad un documento proveniente dalla Direction générale de la Sécurité intérieure (DGSI), i servizi segreti francesi, e reso noto lo scorso gennaio, nel paese sarebbero attualmente 150 i quartieri, prevalentemente banlieu e zone-dormitorio, fuori dal controllo delle istituzioni e comandati da reti più o meno informali legate al jihadismo e all’islam radicale. Sono i quartieri di cui Macron ha paura, dove la shari’a ha già sostituito le leggi civili della repubblica, e dove la carenza di prospettive di mobilità sociale e integrazione ha creato delle bombe ad orologeria che periodicamente esplodono, lasciando a terra morti e feriti.
I 150 quartieri sotto la lente degli investigatori sono spalmati nell’intero paese, da Parigi a Lione, passando per Marsiglia, Nizza e Tolosa, e il problema si sta rapidamente diffondendo dalla Francia metropolitana alle aree rurali, periferiche, per via della migrazione interna. Nei territori perduti, come sono stati ribattezzati, le forze dell’ordine intervengono con estrema cautela, onde evitare di accendere le proteste degli abitanti che potrebbero dar luogo a guerriglie urbane come quelle del 2005 e del 2017, ma gli operatori della sanità e dei trasporti pubblici affrontano gli stessi problemi. A maggio dell’anno scorso fece scalpore la notizia di un autista della Ratp, di fede salafita, che si era rifiutato di far salire una donna sul mezzo perché indossante una minigonna.
Sono le moschee e i centri culturali islamici i punti di riferimento della vita quotidiana e comunitaria dei territori perduti, e aumentano numericamente di anno in anno, creando dei sistemi a base territoriale simili a quelli delle parrocchie cattoliche. A Tolosa, nel quartiere Reynerie, sono presenti quattro moschee in un’area di 2 kilometri quadrati, e a Parigi, nella sola area di Saint-Denis, ne operano sette ufficialmente.
È dai territori perduti che proviene la stragrande maggioranza dei circa 2mila francesi arruolatisi nelle file dello Stato Islamico dallo scoppio della guerra civile siriana ad oggi. 2mila, una cifra enorme, che rende la Francia il paese europeo più colpito dalla radicalizzazione, insieme a Belgio, Gran Bretagna e Germania.
Questi 2mila combattenti stranieri rappresentano soltanto la punta dell’iceberg, perché sotto la sorveglianza delle autorità si trovano attualmente circa 15mila persone fra radicalizzati, terroristi comprovati o presunti ed imam estremisti. Questo esercito invisibile, i cui soldati escono periodicamente dall’ombra per consumare attentati, è spalmato sull’intero territorio nazionale che, nel complesso, presenta circa 750 zone a rischio, sensibili e vulnerabili alla proliferazione del fondamentalismo islamico poiché caratterizzate da alti tassi di criminalità, disoccupazione e alti indicatori di degrado sociale.
Sottomissione: distopia realistica?
Francia, 7 gennaio 2015, una data simbolica: un commando di terroristi irrompe nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo, noto per le caricature dissacranti ed offensive sul profeta Maometto, lasciando a terra 17 morti; nello stesso giorno, nelle librerie del paese inizia la distribuzione di “Sottomissione“, un romanzo fantapolitico e distopico firmato da Michel Houellebecq. Il libro diventerà rapidamente la novità editoriale dell’anno, sia in Francia che all’estero, raccontando l’ascesa di un partito islamista alle elezioni presidenziali francesi del 2022 e la conseguente islamizzazione multidimensionale del paese.
24.Interrogazioni parlamentari
22 luglio 202 0Interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione
Articolo 138
Elżbieta Kruk (ECR)
Oggetto: La questione musulmana nell’UE
Entro il 2030 ci saranno 60 milioni di musulmani che vivranno in Europa. Stiamo assistendo al processo di islamizzazione dell’Europa, compresi Belgio, Francia, Germania e Svezia. I musulmani vivono in comunità chiuse, principalmente nelle periferie delle città, che di fatto non sono soggette alla legge del paese. In queste comunità si applica la legge della Sharia e le famiglie che vi risiedono pagano le tasse islamiche in conformità con la legge della Sharia.
Secondo un rapporto della Direzione generale per la sicurezza interna (DGSI) francese, commissionata dall’ex ministro dell’Interno francese Christophe Castaner, ben 150 distretti urbani sono controllati da fondamentalisti islamici. In Francia, la polizia non ha praticamente accesso a questi distretti e devono essere protetti dall’esercito francese se desiderano entrare in zone vietate.
Le moschee finanziate dai paesi islamici fanno da sfondo alla vita dei musulmani in Europa. Nei distretti e micro-territori controllati dai musulmani c’è discriminazione contro le ragazze nelle scuole pubbliche, e bambini e giovani sono soggetti all’indottrinamento islamico. Le scuole coraniche sono finanziate principalmente dai ricchi stati del Golfo.
1. Quali passi sta compiendo la Commissione per integrare meglio le comunità musulmane?
2. Quali misure sta adottando la Commissione per combattere la discriminazione nei confronti delle donne e delle ragazze musulmane in Europa?
3. Quali misure intende proporre la Commissione per ridurre il fenomeno della radicalizzazione islamica in Europa, che si manifesta con il pretesto dell’educazione religiosa?
Un libro scioccante denuncia la “conquista” di alcuni quartieri da parte dell’Islam
150 quartieri sono “detenuti” da islamisti, secondo un documento classificato come segreto della difesa ( 19 Gennaio 2020)
Discorso di apertura di Christophe Castaner al seminario dei prefetti dedicato alla lotta all’islamismo e al ritiro della comunità (28 novembre 2019)
RELAZIONE DI ‘ INFORMAZIONE Sui servizi pubblici di fronte alla radicalizzazione
Assemblea nazionale il 27 giugno 2019
LA COMMISSIONE DI DIRITTO COSTITUZIONALE, LEGISLAZIONE E L ‘ AMMINISTRAZIONE GENERALE DELLA REPUBBLICA ,
http://www.assemblee-nationale.fr/dyn/15/rapports/cion_lois/l15b2082_rapport-information
25. Comunitarismo
https://www.lepoint.fr/politique/exclusif-communautarisme-la-feuille-de-route-du-gouvernement-15-02-2020-2362821_20.php#
Come è riuscita una moltitudine di reti islamiche a costituire enclave ideologiche all’interno dei quartieri della classe operaia? L’indagine sull’evento di Bernard Rougier ci immerge nel cuore di questi spazi e ci rivela il modo in cui si costruisce giorno per giorno un collettivo religioso islamista – e spesso contro – la società francese. Descrive anche l’incontro tra le logiche ideologiche musulmane e le logiche sociali e politiche francesi che hanno consentito ai centri ideologici e istituzionali situati nel Vicino e Medio Oriente arabo o nel Maghreb di diffondere con successo le loro concezioni dell’Islam nelle periferie. grandi metropoli francesi ed europee. Il libro documenta il funzionamento delle reti islamiste in diversi comuni (Aubervilliers, Argenteuil, Tremblay-en-France, Mantes-la-Jolie per esempio) dove la socialità militante è profondamente integrata nella vita dei quartieri.
Alla maniera del comunismo municipale degli anni Cinquanta, gli ecosistemi islamici intrecciano lo spazio locale, combinando varie matrici di socialità, in luoghi di culto, spazi di consumo, tempo libero, vita (alloggi sociali, case di immigrati ) o attività professionali (guardie giurate, impiegati comunali, autisti di autobus). Luogo emblematico, la prigione offre finalmente un prisma eccezionale per comprendere queste dinamiche globali in uno spazio ristretto. combinando varie matrici di socialità, in luoghi di culto, consumo, tempo libero, spazi abitativi (alloggi sociali, case di immigrati) o attività professionali (agenti di sicurezza, dipendenti del municipio, autisti di
https://journals.openedition.org/cemoti/1695
Fonti:
https://urban.jrc.ec.europa.eu/#/enhttps://urbact.eu/open-calls-networks
https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/13566952/emmanuel-macron-islam-ribelle-vuole-autonomia-parigi.html
Comunitarismo e separatismo
PUBBLICATO IL 18 FEBBRAIO 2020
Proteggere le libertà combattendo il separatismo islamista: conferenza stampa del presidente Emmanuel Macron a Mulhouse.
https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2020/02/18/proteger-les-libertes-en-luttant-contre-le-separatisme-islamiste-conference-de-presse-du-president-emmanuel-macron-a-mulhouse
Francia: esiste un “separatismo islamista”?
Cosa significa quando il presidente francese Emmanuel Macron avverte di “separatismo islamista”?
Bernard Rougier: “l’islamismo è una macchina per distruggere la Francia”
https://www.aa.com.tr/en/europe/macron-s-controversial-plan-sparks-criticism-from-muslims/1748466
Bernard Rougier: “l’islamismo è una macchina per distruggere la Francia”
https://www.marianne.net/societe/bernard-rougier-l-islamisme-est-une-machine-detruire-la-france
Giovani provenienti da zone svantaggiate “: delinquenza, conflitti e radicalizzazione islamista
maggio / agosto 2016
https://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0103-20702016000200039
La sociologia della radicalizzazione: intervista a Farhad Khosrokhavar
Pubblicato il 01/10/2016
Gilles Kepel: “Salafismo nelle periferie francesi? Una realtà in espansione (2013)
Emmanuel Macron rafforza il suo tono contro il separatismo islamista
Il presidente intende affidarsi a Matignon e Beauvau per cercare di ristabilire l’ordine repubblicano prima del 2022. ( settembre 2020)
https://www.lefigaro.fr/politique/emmanuel-macron-durcit-le-ton-face-au-separatisme-islamiste-20200908
https://www.bfmtv.com/politique/150-ans-de-la-republique-marine-le-pen-grille-la-politesse-a-macron_AD-202009040128.html
27. Soros
https://www.opensocietyfoundations.org/explainers/islamophobia-europe
FRANCIA – FRANÇOIS PUPPONI TEME CHE L’ISLAMISMO POLITICO VENGA INVITATO ALLE ELEZIONI MUNICIPALI
Pubblicato il 19 gennaio in Europa 1
Gli attivisti islamisti sono “non numerosi”, meno del 5% della comunità musulmana, ma “si infiltrano in tutti i campi, economico, educativo, sociale, culturale”, stima François Pupponi, ex del PS, vari deputati di sinistra del Val d «Oise ed ex sindaco di Sarcelles. Pubblica su Editions du Cerf “Gli emirati della Repubblica – come gli islamisti si impossessano delle periferie”, ed è stato ospite di Patrick Cohen su Europa 1 per parlarne. Secondo lui, il Presidente della Repubblica deve reagire prima che avvenga un cambiamento, soprattutto durante le elezioni comunali.
Il deputato critica nel suo libro il “niqab di sinistra” che farebbe il gioco degli islamisti, in particolare dei “fréristes” che hanno sviluppato una “strategia di ingresso” in molti quartieri. “L’ho sperimentato personalmente durante la campagna legislativa da quando mi sono ritrovato al secondo turno contro Samy Debah, il fondatore del comitato contro l’islamofobia in Francia, che si dice sia ‘vicino ai fratelli musulmani’. . Nel secondo turno, il candidato ribelle della Francia mi invita a combattere, quindi a sostenerlo “, si lamenta.
Municipi gestiti da militanti islamisti?
Secondo François Pupponi, vedere i municipi cambiare è quindi possibile. Fa l’esempio di quello di Garges-Lès-Gonesse, in Val-d’Oise, dove Samy Debah è candidato alle elezioni municipali: “Al secondo turno delle elezioni legislative ha ottenuto il 56% dei voti a Garges-Lès-Gonesse” , ricorda l’ex sindaco di Sarcelles ed è quindi “capace di presentare un programma gradito a tutti”. Ma secondo lui, “dietro la sua visione della Francia, è cercare di imporre un islam relativamente rigoroso, e fare in modo che la Francia accetti un certo numero di regole. Questo è il principio dei Fratelli Musulmani. un po ‘ovunque nel mondo – quindi non specifico del nostro Paese e delle sue periferie – ma qui si vede chiaramente che le cose si stanno mettendo a posto ”.
Il deputato però desidera ricordare che “è un fenomeno minoritario” tra i musulmani in Francia, ma che è, secondo lui, “generazionale. I portatori di questo islam sono giovani, spesso laureati, formati, attivisti, finanziati – vediamo che sono in grado di portare avanti campagne di qualità, con risorse significative. […] Si sta verificando un cambiamento, e se non stiamo attenti, i portatori di questo Islam – che a poco a poco sarà la maggioranza “.
Emmanuel Macron invitato a parlare
François Pupponi si rivolge quindi al Presidente della Repubblica: nelle sue parole, “i musulmani di Francia chiedono alla Repubblica di commentare il posto dell’Islam nel nostro Paese”, ma “la Repubblica non risponde”. Allo stesso tempo, osserva che ci sono “molti francesi che non conoscono la religione musulmana, con un aumento dell’islamofobia che è insopportabile”. Secondo lui quindi, colui che deve rispondere a tutte queste domande, “è il Presidente della Repubblica”.
https://www.nature.com/articles/s41599-017-0061-9
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